Un posto al sole: Tv Soap intervista MARINA TAGLIAFERRI (Giulia Poggi) - prima parte
Vi presentiamo - divisa in due parti - una lunga intervista che abbiamo rivolto a Marina Tagliaferri, storica attrice di Un posto al sole nel ruolo di Giulia Poggi. Ecco la prima parte (la seconda potete leggerla CLICCANDO QUI):
Intervista a cura di Carla per TvSoap.it. Riproduzione vietata.
Tre immagini per descrivere Un posto al sole.
Lo definirei una cosa che rispetta il tempo reale, una cosa positiva, che anche quando si parla di problematiche negative tende a lasciare un senso positivo (si potrebbe tradurre con la parola “speranza”), e poi un prodotto italiano. Un posto al sole è fatto da attori italiani, in luoghi italiani, con tecnici italiani. E in un momento in cui le fiction si girano all’estero, prendendo in parte anche attori e tecnici stranieri, che ci sia un prodotto realizzato tutto nel nostro paese da tecnici e attori italiani è una grande conquista.
Parliamo di Giulia Poggi.
Giulia è un personaggio che sta cambiando. Storicamente era una figura che univa il cuore di mamma con l’immagine di una donna molto coraggiosa. E coraggiosa è tuttora, affronta temi della camorra, situazioni abbastanza particolari, però la sua famiglia è stata smembrata, si è separata dal marito e quindi deve fare i conti con se stessa, con la “sua” vita. Prima era solo famiglia e lavoro, ora dovrà affrontare anche se stessa.
Giulia è rientrata a giugno 2011 dopo circa 2 anni di assenza. Che effetto le ha fatto tornare dopo una pausa così lunga? Cos'ha trovato di cambiato? E cosa invece è sempre uguale a Un posto al sole?
Mi ha fatto un effetto molto emozionante, naturalmente, perché il tempo è stato sufficientemente lungo da creare un distacco. Di cambiato c’era già qualcosa rispetto all’inizio, adesso Un posto al sole cammina su un ritmo tutto suo, e l’atmosfera è un po’ cambiata. Di uguale ci sono questi nostri personaggi che mantengono tra di loro questo filo di conoscenza che continua e si perpetua nel tempo. Si esce e si rientra ma rimane questo filo, e anche se un personaggio non si vede è come se si vedesse. Quando sono uscita, per un anno le persone che mi incontravano hanno continuato a dirmi “La seguo tutte le sere!” e io mi chiedevo… ma quando? All’inizio pensavo fossero un po’ sciocchi o distratti, poi quando ho visto che era così per tutti ho capito che si era creata quest’immagine invisibile che rimane anche quando uno non c’è. Ma non solo con me, succede anche con personaggi che non ci sono stati da sempre ma per un piccolo periodo… ogni tanto li richiamano e questo dà la sensazione di una ramificazione realistica. Nel senso che – come nella realtà – si sa che quel qualcuno c’è, esiste, e se lo si chiama risponde al telefono. C’è questa sensazione anche all’interno della fiction, che però è qualcosa di realistico, non di reale, ma rende molto bene la realtà.
Secondo lei il pubblico è più affezionato alla Giulia "anticonformista" o a quella che ha come primo pensiero l'impegno sociale?
Ma “anticonformista” perché? Per il rapporto con il marito? Io vorrei ricordare che, come hanno sottolineato alcuni fan, il primo a tradire è stato Renato nel lontano ‘97, Giulia a quel punto ha reagito e poi c’è stato tutto il periodo della separazione. Alla fine se lo fa una donna è “anticonformista”, bisogna sottolinearlo, come comportamento, invece se lo fa un uomo è “cacciatore” e quindi è normale… Un po’ è così la società, non c’è niente da fare.
Ma credo che il pubblico ami il mix delle due cose: la donna coraggiosa sia nel “cuore di mamma” che nel “cuore sociale”. Giulia ha avuto un grande successo soprattutto con le prime due storie al di fuori del matrimonio, perché era molto sottolineato il fattore dell’età. Non erano storie di sesso o passioncelle, c’era un discorso di riscatto dell’età e questo ha portato molte donne dalla parte di Giulia, inevitabilmente, perché in quelle situazioni se ad agire così è un uomo va bene, se è una donna va colpevolizzata. Mentre Giulia lo fa a testa alta, non tradisce ma prende atto che ci sono determinate situazioni di crisi e cerca il modo di uscirne. Per esempio quando si innamora del padre naturale di Niko, Giulia è di fatto una donna separata, si sente mortalmente sola in un’età in cui una donna quando si sente sola 9 volte su 10 ci rimane. E questo ha determinato un grande successo e un’attenzione verso il mio personaggio, soprattutto da parte delle donne: nessuna è venuta a dirmi “Ma no, perché, pensa al marito…”. Quindi l’affetto del pubblico è legato ad entrambe le facce di Giulia e alla passionalità con cui mostra entrambe: la madre tenera e la donna sempre pronta ad aiutare e a rimettersi in gioco.
A proposito di impegno sociale, in questo momento il "protetto" sembra Nunzio Vintariello: secondo lei una redenzione simile, quando si sono raggiunti gli estremi che ha raggiunto un uomo così, è possibile?
Io ho sempre sempre sostenuto che la realtà supera la fantasia e la fiction… nel bene e nel male tutto può essere. È andata in onda da poco la miniserie “Faccia d’angelo”, su Sky, che parla di una storia vera, di un uomo che dopo aver fatto cose gravissime è ancora vivo, ha scontato la sua pena, ha aiutato la polizia e ha cambiato completamente vita. Tutto è possibile.
Sempre a proposito di questa storia, ce lo stiamo chiedendo ormai tutti: prima o poi Giulia e Nunzio, così agli opposti, saranno uniti anche da un legame sentimentale? O una storia del genere può finire solo in tragedia?
E lo chiedo anch’io agli autori, ma non me lo vogliono dire! Allora, diciamo che tutto è possibile, e che io personalmente credo che una storia con Vintariello sarebbe possibile, ma soprattutto, viste le storie che ha già avuto, parlando di Giulia è certo più intrigante che abbia una storia impossibile piuttosto che una storia possibile. Però forse… ma è una mia idea, si potrebbe banalizzare se poi accadesse davvero. Noi siamo in un momento in cui lei è attratta dal carisma di lui e lui è molto attratto da questa donna che gli mostra la vita che gli è sempre stata negata. Lui le racconta come è entrato nella malavita, come ha iniziato., perché non è che uno così ci nasce, ma ci diventa, passo dopo passo, fin da bambino. E sa, ha sempre saputo che c’è un’altra vita possibile, una vita onesta, come sa che superato un certo limite quella vita gli viene impedita, non è più possibile. E allora vedere una persona che invece ti dice “E’ ancora possibile, tutto è possibile” è emozionante. L’aspettativa che stanno generando i due personaggi è reale, non è che si guardano e ognuno pensa ai fatti suoi. Poi su quello che accadrà non posso allargarmi più di tanto sennò… mi licenziano!
Giulia ha sempre una parola per gli altri e trova il modo giusto per risolvere le cose. Sui suoi problemi però ha combinato qualche casino... Ma Marina Tagliaferri è anche lei così pacata e riflessiva, almeno sulle cose altrui, o è più istintiva e irruenta?
No no, Marina è più istintiva e irruenta, anche se uno con l’età una calmata se la dà, però in alcune cose siamo molto simili, anche se io non ho una vita privata come la sua, non avendo figli mi manca un pezzo. Spesso mi chiedono come mi sono trovata col personaggio di Giulia e rispondo che bisognerebbe chiedere a Giulia come si trovi con Marina… vanno a braccetto da tanto tempo. Una cede un po’ all’altra. Però io sono più istintiva, poi sono un sagittario: un segno che ha il corpo di un cavallo e quindi corre, e la freccia in mano… più di tanto riflessivo non può essere. Lo è in modo istintivo, ma non razionale.
Torniamo alla famiglia: che effetto fa aver visto Claudia Ruffo in scena a 16 anni e ritrovarcela a 32, avendola seguita in quasi tutti i passi della crescita come donna? E ancora più con Luca Turco, Niko, dai 9 ai 22... scatta una sorta di adozione?
Ma soprattutto con Luca, perché lei aveva già 15 anni, era una piccola donna. Lui era veramente un bambino, un bambino iperattivo! Per tenerlo fermo dovevamo legarlo alla sedia e io mi ricordo che spesso dovevamo fare delle inquadrature assieme e siccome si muoveva io gli prendevo le mani e gliele sollevavo in alto, o gli posavo un braccio sulla testa… Ora per guardarlo negli occhi devo alzare lo sguardo, per abbracciarlo mi devo alzare sulle punte!
Però siamo sempre rimasti molto legati, lui mi ha sempre chiamato “mamma”, anche se adesso negli ultimi tempi passa più spesso al “Marina”, però per molto tempo ha usato quel “mamma”. Anche se naturalmente lui ha una mamma affettuosissima, una signora deliziosa.
“Mia figlia” invece ha fatto lo scarto adesso: prima sì, cresceva… ma non erano grandi cose. Adesso che è diventata “madre“ lo scarto lo sento, è più importante.
Che effetto ha fatto, invece, trovare suo "marito" impegnato con un rapporto anche consolidato con un'altra donna, la professoressa Trevi?
Diciamo come prima cosa che tutto questo si è sviluppato durante l’assenza di Giulia ma lei lo sa, sa benissimo che l’ex marito vive con un’altra donna, non è che torna a casa e lo deve scoprire, non è un trauma. E poi con Renato era finita da tempo, prima ancora di andare via aveva chiuso quel capitolo.
Invece se devo dire l’effetto me l’ha fatto più per via della casa… il marito l’avevo lasciato prima ma la camera da letto, la cucina… quelle erano cose che appartenevano a me e quello mi è costato di più.
Nelle puntate di Un posto al sole si avverte la scelta ben precisa di parlare di arte, cultura e sociale più che altrove. Secondo lei è una scelta conciliabile con la ricerca dell'auditel? Ed è collegato con gli ottimi risultati che Un posto al sole ha sul target pregiato per titolo di studio?
Sicuramente sì. Il fatto è che noi vediamo una fiction italiana in cui per esempio è desaparecida la fascia delle persone 50enni: non ci siamo. Gli uomini ancora ancora, ma le donne le hanno eliminate. Massimo massimo arrivano a 40 anni. Molti giovani 20-30enni, poi arrivano a 40 ed è finita. Gli uomini che eccezionalmente vediamo dopo quell’età sono uomini che ricominciano la loro vita daccapo ripercorrendo un excursus che hanno già fatto in un’altra età, e le donne le rivediamo verso i 65 – 70 anni, ormai tranquille, nonne…
Invece a Un posto al sole noi abbiamo tutte le età perché inevitabilmente il toccare certi argomenti porta a parlare del’esperienza, del percorso. È vero che da noi mancano gli anziani veri che ormai sono gli 80enni, però gli altri momenti della vita ci sono tutti, proprio perché la formula prevede argomenti che riguardano tutta la società e di conseguenza tutto ciò che c’è nella società. Problematiche, passioni… Nelle fiction vediamo quasi solo criminalità, ed è vero che c’è in Italia, ma non c’è solo quella, siamo un paese di navigatori, poeti… c’è tutto il resto. E allora noi abbiamo la grande impresa dei Palladini che fanno barche, e sono una delle produzioni simbolo italiane a livello mondiale, abbiamo la realtà più spicciola, familiare che è il lavoro di Silvia al bar, fino alla Star Box che è un altro tipo di impresa. Ci sono tante fasce come la medicina che non puoi far fare ai ventenni, e spesso lo dico, in altre interviste a favore della donna: per quale motivo non si rappresentano le donne 50enni? Ci sono cose che non puoi arrivare a fare a 20 anni. E la fascia dei 50enni non è quella che va in pensione e ha finito di vivere, anzi, più che mai ora che ce l’hanno spostata! Non si può eliminare come argomento… Sentivo in questi giorni che nelle pubblicità in televisione stanno iniziando a usare testimonial più grandi come età perché c’è un’altissima percentuale del “grandi acquirenti” che è nella fascia di età 50-70, e per quelli i testimonial ventenni sono inutili, perché le cose che interessano i ragazzini non sono quelle che interessano i 50enni… e sono loro che hanno i soldi!
E' una delle attrici storiche del cast, una di quelle che del primo giorno possono dire "io c'ero". Che cosa ricorda dei primissimi giorni di quell'avventura che ancora non aveva precedenti nella tv italiana?
Se ripenso ai primi anni li definisco fantastici. Fantastico il format, fantastici gli australiani che sono venuti in Italia ad adattarlo (e con loro si parlava inglese!), fantastici gli italiani che poi hanno preso il controllo. Erano fantastici, geniali, nel loro format c’era “l’attore”. Non solo il programma, il risultato, la percentuale. Per esempio nella sigla delle prime puntate c’erano solo i volti e i nomi dei personaggi. I nomi degli attori erano tutti alla fine, e noi ci chiedevamo e gli chiedevamo il perché. E loro ci rispondevano che era il personaggio che doveva vincere. E poi ci trattavano in maniera meravigliosa, si preoccupavano di noi come di tanti figli, ci chiedevano se avevamo dormito bene, se necessitavamo di qualcosa, ci facevano trovare il vassoio di cornetti al trucco la mattina… il che a parte i grandi divi (ride) non è esattamente lo standard per gli attori! Ho un ricordo meraviglioso in una città di sole e luce.
Poi eravamo anche tutti storditi, c’erano questi piani di lavorazione che ora scorriamo come seta, pieni di sigle e di numerini: non ci capivamo niente! Però io mi ricordo che mi svegliavo alle sei da sola, senza sveglia, con l’adrenalina che imperava.
Ed è vero che quando vi chiamarono per un posto al sole vi dissero che era per breve tempo?
Si si! Che poi a noi sembrava comunque tantissimo… nove mesi, chi l’aveva mai avuta una produzione televisiva per nove mesi!
Ha detto che come epitaffio avrebbe voluto "La prossima volta voglio leggere il copione prima..." Riguardo al personaggio preferisce leggere le evoluzioni a lungo termine delle storie, oppure scoprirle giorno per giorno?
(ride) È vero, era il libro di Libro Elsa Di Gati sui coccodrilli! A me piace sapere le storie in anticipo, andarle a leggere… e soprattutto all’inizio noi chiedevamo, chiedevamo cosa avrebbero fatto i personaggi, e loro non ce lo dicevano ma neanche morti! E noi chiedevamo “Ma perché? Nei film gli attori sanno come va a finire la storia…” E loro ci rispondevano: “Questo non è un film, questa è la vita. Nella vita lei sa cosa succede? No, e allora perché lo deve sapere qui?”. Insomma, con gli anni quest’ansia di sapere si è chetata.
Com'è il rapporto tra autori e attori? Potete chiedere qualche modifica, ci sono degli scambi, dei suggerimenti, i personaggi vengono anche declinati in funzione degli attori che li interpretano oppure no?
Diciamo che un incontro c’è, anche se loro tendono a non lasciare spazio sennò poi vengono fagocitati, perché gli attori sono come i bambini! E poi comunque loro stanno avanti col lavoro: quando noi leggiamo loro hanno già sviluppato il seguito delle storie, non si può cambiare più di tanto. Però sì, ci stanno a sentire, se andiamo a parlare ci ascoltano, poi studiano la cosa e ci dicono se è giusta o no e in quel caso perché. Uno scambio c’è, senza esagerare: non è che andiamo a dire “Questa cosa non mi piace, cambiatela” e loro la cambiano… ma neanche morti!
Il suo metodo prevede che prepari prima la parte oppure la legge e improvvisa direttamente sul set?
Allora, diciamo subito che la parola improvvisazione non esiste. Esiste invece il fatto che dopo tanti anni che si interpreta un personaggio, anche se le battute e le situazioni cambiano c’è un canale diretto… non è che bisogna calarsi ogni volta dentro: ci si è già.
Per cui io leggo prima o copioni – noi li abbiamo anche molto prima – per sapere cosa accade e scopro le scene con interesse, però non mi metto a memorizzarle troppo presto, anche perché non si sa quando si girano: noi abbiamo i piani di produzione di settimana in settimana, e quindi di settimana in settimana si affrontano le scene successive memorizzandole il più vicino possibile al momento in cui si girano, anche per assumere un tono di naturalezza.
È proprio una tecnica, almeno per quanto mi riguarda, il fatto di non saperla proprio “marcia”: perché se sai tutto precisissimo allora bisogna usare tutto un altro tipo di studio in cui non c’è spazio per i piccoli buchi e quindi li devi “creare”, invece la lunga serialità è basata sulla naturalezza delle parole. Sai bene che devi dire quella frase ma è come se dovesse avere il tempo di formarsi nella mente. Così diventa più realistica.
Per carità, all’inizio stra-studiavamo tutti in anticipo e non eravamo mai soddisfatti perché poi magari mancava proprio quella parola – e l’avevi studiata per ore! – ora invece memorizzandola più vicino alle scene, viene tutto meglio. E non è un metodo che uso solo io.
Quanto è difficile emotivamente uscire da un ruolo che ti impegna mesi (nelle tournée) o anni (in tv), sia quando se ne esce la sera che quando lo si lascia per un lungo periodo o definitivamente come nel teatro?
All’inizio c’è stata una difficoltà… nei primi anni, direi. Ti rimaneva addosso qualcosa quando uscivi dalla Rai – a parte che all’inizio non potevamo nemmeno uscire di casa, ci prendevano d’assalto! – e c’era quasi una doppiezza interna per cui delle volte ti rabbuiavi e non capivi perché e solo dopo ti veniva in mente che stavi vivendo una cosa del personaggio che non ti piaceva, oppure gioivi per una cosa bella che era successa al personaggio. Insomma i primi anni c’era, adesso molto meno, dopo tantissimi anni è una sensazione diversa.
Un posto al sole per lei è industria o arte?
Penso che sia tutto e due… un buon mix!
Ora che è tornata a Un posto al sole vive a Napoli o fa sempre su e giù con Roma?
Inizialmente avevo preso casa a Napoli, come tutti i non napoletani, quindi ho molto vissuto anche la città. Poi una volta che l’impegno si è diradato… la mia città è Roma, la mia casa è a Roma, la mia famiglia è a Roma, per cui è chiaro che sono più a Roma. Poi ora bisogna dire che ci sono questi treni velocissimi per cui in un’ora e dieci non c’è nemmeno il tempo di salire e sei già arrivato. Oppure si può stare a Napoli la settimana e tornare a Roma il week end in un lampo.
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